mercoledì 30 maggio 2012
lunedì 28 maggio 2012
Oltre
il buio delle stelle.
“Il
problema non sarà quando noi andremo all'inferno... ma quando
l'inferno verrà da noi...” Korey Rivera.
Klatu
viaggiava attraverso la nube di detriti. La sua specie, conosciuta
come Nebulani, non esisteva più. Il suo pianeta, il bellissimo Miro,
in una galassia lontanissima di un altro universo, era ormai solo
polvere e gas nel cosmo. Pensieri cupi attraversavano la sua mente,
mentre sfiorava coi suoi tentacoli le connessioni neurali
dell'astronave. L'Entità innominabile, l'abominio figlio stesso
dell'essenza del male, signore dei più oscuri recessi dello spazio e
del tempo, era stato stupidamente risvegliato da lui e dai suoi
colleghi scienziati nebulani. Stolti e ciechi, guidati solo dalla
loro superbia, avevano creduto di poter usare il suo potere per
superare i loro limiti mortali, e avevano invece causato la
distruzione del loro mondo. L'entità si era rivelata
incontrollabile, la sua fame inarrestabile. Il suo nutrimento era la
pura essenza trascendente della materia e nulla e nessuno sembrava
essere in grado di fermarlo.
Klatu,
dilaniato dal rimorso e spinto dalla disperazione lo stava
inseguendo. Il suo aspetto, deforme, ricordava un cefalopode
corazzato con un proprio esoscheletro e dotato di tentacoli prensili.
La sua vita si era interrotta quel giorno. Ripensò per un attimo
alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua compagna. Ormai solo
polvere. Ormai solo un ricordo.
L'alieno,
singhiozzando, predispose l'enorme astronave, grande quanto un
continente terrestre, per viaggiare nell'iperspazio. Era stata ideata
per colonizzare nuovi mondi, nuove costellazioni, e ora era diventata
la sua casa. Unico essere vivente a bordo. L'ultimo della sua specie.
Chiusi
il libro. Il vetro della finestra rifletteva la mia immagine seduta...
...il resto del racconto se vi piace lo potete leggere sul sito lulu.com grazie a tutti i lettori che ci seguono qua sul nostro blog, un abbraccio cosmico.
Maya
domenica 27 maggio 2012
venerdì 25 maggio 2012
Ancora
una volta.
Di
Maya Autelitano.
Amanda
si versò l'ultimo bicchiere di nettare linusiano, mentre sentiva
quello strano effetto di benessere cominciare a mutarsi in ansia.
_
Cazzo, mi sa che ho esagerato! - pensò a voce alta. Il barman mosse
le antenne stupito. Quanto tempo era trascorso? Non lo ricordava più.
Si
alzò barcollando dallo sgabello del bancone e salutò l'insetto di
razza protoumana che l'aveva servita.
C'era
qualcosa che doveva fare... Si fermò un attimo a pensare. Si! Come
aveva fatto a dimenticarlo! Quella sera era l'anniversario del suo
incontro con Jeina.
Cercò
di scrollarsi di dosso gli effetti del nettare e uscì fuori dal
locale.
Dopo
che aveva perso il lavoro a bordo dei cargo spaziali della Compagnia,
per colpa delle sue proteste sui metodi di terraformazione, Amanda
non era stata più la stessa e ora si odiava per questo.
Doveva
farsi perdonare in qualche modo. Forse poteva ancora comprare
qualcosa per una bella cenetta...
Si
guardò nelle tasche dei pantaloni della sua logora tuta verdastra da
lavoro. Si era spesa quasi tutto al bar, maledizione! Forse però ai
livelli bassi avrebbe potuto ancora rimediare qualcosa alla portata
del suo misero portafoglio.
Con il
fiatone e i suoi lunghi capelli raccolti in una treccia scura, corse
verso l'ascensore di livello della cargonave, diretta al settore piu
basso. Indossava una canotta bianca, sotto la tuta, che lasciava
intravedere la forma generosa del suo seno.
L'ascensore
puzzava, in modo insopportabile, ed era pieno di gente poco
raccomandabile. Amanda si mise in un angolo in attesa, senza dare
troppo nell'occhio. Non era molto consigliabile per una ragazza sola
scendere a livelli cosi bassi.
Le
porte automatiche si aprirono e Amanda fu investita da un tanfo
ancora peggiore, un misto di fogne e cucine di varie razze aliene. La
marmaglia si disperse nei corridoi del livello, popolato da logori
negozi etnici e locali promiscui di prostituzione, e la ragazza si
gettò nella folla.
Aveva
paura. Sentiva gli occhi di molti puntati su di lei, ma ormai non
poteva tornare indietro.
- Ehi
fatina, che fai qua? Ti sei persa? - disse una voce stridula alle sue
spalle. Amanda guardò con la coda dell'occhio, cercando di non
girarsi. Un paio di Legolani, dall'aspetto truce e col corpo coperto
da piercing di lucente metallo, le stavano alle calcagna.
-
Merda! - pensò la ragazza. - ci mancavano solo questi stronzi!
Senza
pensarci si infilò in una tavola calda gestita da Peeweks. I
Legolani erano odiati dai Peeweks e per un po' sarebbe stata al
sicuro. Ma per quanto? Doveva trovare una via d'uscita.
-
Avete un bagno? - ansimò a un Peeweks, intento a girare una zuppa.
La palla di pelo fece un cenno con la coda a una porta dietro di lui.
Amanda
la varcò, senza farselo dire due volte. Lo stanzino era piccolissimo
ed in pessime condizioni igieniche, però c'erà una finestrella, che
dava in un vicolo buio. La via d'uscita che tanto cercava.
Provò
a passarci, ma faceva una fatica terribile. Doveva essere ingrassata
troppo ultimamente. D'un tratto qualcuno prese a bussare con violenza
sulla porta.
- Dai
apri troietta! Sappiamo che sei là dentro! - il tutto accompagnato
da una terribile risata legolana. Il panico si impadronì di lei.
Doveva fuggire a tutti i costi, quei due ceffi non ci sarebbero
andati di certo leggeri con lei.
Cercò
con un ultimo gesto disperato di passare attraverso la piccola
finestra.
Tratteneva
il fiato e spingeva con tutte le sue forze, finchè la porta non si
sfondò, e i due legolani, dai visi allucinati, e una bava bianca
alla bocca si diressero verso di lei... le braccia pronte ad
afferrarla... un urlo di terrore e si svegliò...
Era
sdraiata sul bancone del bar, ubriaca fradicia. Il bicchiere, ormai
vuoto mezzo rovesciato davanti a lei. L'insetto addetto al bar la
scrutava con un'aria che si sarebbe potuta dire preoccupata. Porca
puttana che fottuto incubo!
Amanda
si alzò barcollando, pagò e si trascinò fuori dal bar. Arrivare
alla sua squallida cabina, a un paio di livelli di distanza, non fu
difficile, la strada ormai la conosceva, era come inserire il pilota
automatico.
Con le
ultime forze si lasciò cadere sul divano e schiacciò un paio di
telecomandi. Un cilindro di luce si formò al centro della stanza e
apparve l'immagine olografica di Jeina.
Un
lungo filmato girato sul suo pianeta di origine, dove si erano
conosciute e amate, prima che fosse distrutto dalla maledetta
Compagnia. Tutto ridotto in polvere, compresa Jeina. La sua Jeina.
- Fammi
ancora una volta la tua magia, dolcezza! - disse Amanda, spegnendo
le luci. D'improvviso il buio della stanza prese ad illuminarsi di
una fosforescenza bluastra. Era il corpo di Jeina che risplendeva di
luce propria.
Amanda
restò così, a guardare senza dire una parola. A scrutare bene il suo
viso si sarebbe potuto dire che, in qualche modo, stesse sorridendo.
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